“Le motivazioni per una proposta apparentemente tanto anomala sono varie:
- le città hanno perso le loro caratteristiche di luoghi di incontro e di scambio e sono luoghi di vita disagevole per tutti;
- nelle città i bambini hanno ormai completamente perso l’autonomia di movimento e la possibilità di vivere le esperienze primarie di esplorazione, scoperta e gioco necessarie per la loro crescita;
- la nostra generazione è forse la prima che ha rinunciato a farsi carico del destino delle generazioni che verranno: i padri non si stanno facendo carico dei figli e dei nipoti.
I bambini non rappresentano solo una delle categorie sociali più deboli, ma sono in grado di rappresentare l’altro, il diverso, rispetto al decisore adulto e per questo possono assumere il valore paradigmatico che il progetto attribuisce loro.
Le proposte di cambiamento urbano dei bambini coincidono con quelle degli esperti e degli scienziati e in particolare degli psicologi, degli ambientalisti, dei sociologi, degli urbanisti, dei pediatri e anche dei giuristi. Difficilmente le proposte degli esperti sono organiche e multidisciplinari come quelle dei bambini e queste ultime permettono all’amministratore di dire ai suoi concittadini:
“Si deve cambiare perché lo chiedono i vostri figli”.
La Convenzione ONU dei diritti del fanciullo del 1989, ratificata con la legge nazionale n.176/1991, all’articolo 12 sancisce il diritto dei bambini ad essere consultati ogni volta che si prendono decisioni che li riguardano, e questo riguarda anche le città.
Naturalmente i bambini non sono in grado di rivendicare questo ruolo e questo diritto: sono gli adulti, e in particolare il Sindaco, che devono chiedere il loro aiuto e saperne tenere conto. E’ il sindaco infatti il referente principale del progetto.”